Quando parlo con qualcuno del destino del nostro pianeta, il mio interlocutore mi da inizialmente ragione. Le cose cambiano quando esprimo la mia opinione tutt’altro che ottimistica sull’evolversi della situazione. Sono convinto che nelle condizioni attuali il pianeta non abbia speranze di risanamento. E’ il frutto di anni di studi sulla questione, di valutazione dei dati e di semplice logica.
Il tampone all’inquinamento derivante dall’attività umana è da sempre la componente primaria della natura, rappresentata in gran parte dalle foreste primarie. Oltre al mantenimento della biodiversità, sono da sempre considerate il polmone del pianeta. Un polmone malato però, che invece di essere curato viene sempre più maltrattato. Le foreste hanno fatto sempre più fatica a compensare l’impatto umano, e l’aumento sempre più rapido della concentrazione di gas serra (principalmente anidride carbonica) nell’atmosfera sta ad indicare che non riescono più a essere competitive. Se a questo sommiamo il fatto che la superficie delle foreste a livello planetario è in continuo calo, è palese che così non possiamo farcela. Non è solo una mia idea, ma è il risultato di qualsiasi ricerca scientifica sull’argomento. I dubbi sono soltanto sulla possibilità o meno di invertire la rotta.
Trovo invece sempre qualcuno che mi giudica eccessivamente pessimista. Persone che non sanno mai che cosa dire quando chiedo sulla base di quali dati formulano queste ipotesi. Non sanno cosa dire, perchè non sanno quello che dicono. I più intraprendenti parlano di natura in grado di risolvere le cose. Sembra proprio che non si rendano conto che di natura ce ne è rimasta gran poca e che nessuno sia intenzionato a perdere qualcosa per il bene di tutti.
Il modo migliore per affrontare il problema è non sottovalutarlo. Non pensiamo che le cose si risolvano da sole. Lo abbiamo fatto per tanto tempo e non ha funzionato. Dobbiamo fare qualcosa, dobbiamo farlo subito.
 
 
 
Non basta sperare.
mercoledì 7 marzo 2007