Più di una persona ci ha espresso dubbi sul nostro articolo sulla desertificazione della pianura padana. Abbiamo chiesto maggiori dettagli a Enrico Moriconi, dal cui sito avevamo preso la notizia.

Ecco la sua risposta:

Gentile Emanuela,
mi scuso innanzi tutto per il ritardo ma avevo smarrito il riferimento della mail inviatami.
Il titolo e la trattazione dell’argomento erano di tipo “giornalistico” nel senso che si esprimevano dei concetti in maniera più diretta, proverò adesso a spiegarmi in maniera più completa. Il termine desertificazione è stato usato appunto per sottolineare l’urgenza del problema in quanto la forte concentrazione di azoto sotto forma di nitrati renderebbe i terreni non più utilizzabili per lo smaltimento delle deiezioni degli animali, che porterebbe ad un difficile mantenimento degli allevamenti in pianura padana, che è la zona dove si alleva il maggior numero di animali. L’altro punto è che l’Unione europea, come diremo in seguito, da ben 16 anni, per la precisione dal dicembre del 1991, chiede all’Italia lo stato dei terreni e le decisioni che si assumono in conseguenza, senza che siano state assunte decisioni in merito.

La vicenda inizia con la Direttiva 91\676\ CEE (Nitrati) del consiglio del 12 dicembre 1991 relativa alla protezione delle acque dell’inquinamento provocati da nitrati provenienti  da fonti agricole.(GU L 375 del 31\12\1991)
La Direttiva è stata recepita con Decreto legislativo 11 maggio 1999 n. 152 all’articolo 19  e dall’allegato 7\A che hanno stabilito criteri metodologia e procedure per l’individuazione e la revisione delle zone vulnerabili  nonché misure e indicazioni per i programmi d’azione obbligatori da attuare in tali zone ai sensi dell’articolo 5 della direttiva “nitrati”. Il decreto prescrive inoltre l’applicazione del codice di buona pratica agricola, di cui al decreto del Ministro per le politiche agricole in data 19 aprile 199, pubblicato nel S.O. alla G.U. n. 102 del 4 maggio 1999. Il Decreto demanda alle Regioni a compiere entro il 31 dicembre 2001 progressi significativi per  adempiere agli obblighi stabiliti dalla direttiva CEE\676\91.Il fatto è che le regioni sono largamente inadempienti riguardo a quanto previsto del d.legislativo e solo l’Emilia Romagna ha prodotto un testo di legge. Non hanno ancora agito invece Piemonte, Lombardia e Veneto che sulla pianura padana insistono.
Ho approfondito la questione relativamente al Piemonte La regione ha emanato un Regolamento regionale del 18 ottobre 2002\n 9\R “Designazione delle zone vulnerabili da nitrati di origine agricola e relativo programma d’azione” e lo stesso argomento è stato ripreso dal Piano di Sviluppo Rurale del 2000-2006  e dalla Deliberazione Giunta Regionale 27 febbraio 2006 n 47-2279.
Praticamente sulla base dei testi legislativi si è solo realizzato un monitoraggio delle zone vulnerabili cioè con un contenuto nelle falde acquifere superiore a 50 mg\l, ma allo stato attuale non si è ancora adottato nessun piano d’azione. Le zone vulnerate in Piemonte, come ovvio, sono le pianure del cuneese e parte della provincia di Torino e di Asti, cioè dove è più forte la presenza della zootecnia.
Il Piano di Sviluppo Rurale 2006-2011 riprende, in Piemonte, la questione ma le soluzioni che prospetta sono il tentativo di non intervenire sulla quantità di animali allevati proponendo di spalmare il surplus di su tutta la superficie regionale a partire dal fatto che adottando tecniche di riduzione del contenuto azotato si possano ridurre gli apporti in linea con quanto previsto dalla Direttiva europea.
Il dubbio è che il tutto sia solo una ennesima furberia italiana per dichiarare sulla carta una riduzione che però sarebbe solo fittizia.
A titolo di esempio, e per spiegare lo scetticismo, è importante ricordare che sulla base di quanto prevede la direttiva europea, cioè un apporto non superiore a 170 kg anno di azoto nelle zone dichiarate vulnerabili, si avrebbe che il carico potenziale ammesso sarebbe di circa due vacche o  due vitelloni per ettaro, in quanto ogni individuo produce tra gli 85 (vacche) e i 77 (vitelloni) kg di azoto all’anno. Oppure 9 suini per ettaro di terreno oppure 340 polli.
Si può facilmente verificare come le quantità attualmente allevate andrebbero drasticamente ridimensionate per rispettare la direttiva. E forse non è un caso che essa sia stata finora disapplicata se dal 1991 non sono ancora state prese decisioni applicative.
Di seguito si riporta la quantità di azoto che, secondo Ioppolo ricerca pubblicata nel 1993, producono in un anno i diversi animali.
Kg di azoto prodotti in un anno per quintale di peso vivo:
vacche da latte: 14,1  vitelloni: 11,1  vitelli a carne bianca: 20,1 suini ingrasso: 18,2 ovaiole: 26,7 polli carne-tacchini: 19,7
conigli: 38,9

Volendo si può provare a fare un calcolo considerando gli ettari disponibili in Pianura padana e il numero di animali allevati con il loro apporto azotato e verificare se vi è la possibilità di smaltire tutte le loro deiezioni.

Spero con questo di aver portato qualche elemento in più ma resto in contato per eventuali ulteriori chiarimenti.

Cordiali Saluti,
Enrico Moriconi

Grazie al signor Moriconi per la disponibilità.


 
mercoledì 11 luglio 2007
Desertificazione seconda parte!